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La parola tarallo è probabilmente di derivazione greca: “daratos” significa “specie di pane” riferendosi probabilmente alla forma rotonda di questa ciambella, che ha visto modificare le sue dimensioni nel corso del tempo e dei luoghi in cui ha trovato vasto utilizzo.
Dalle preparazioni per le festività della Pasqua nasce questo “sfizio”, che è da considerarsi una vera e propria alternativa al pane.
Grano, olio e vino uniti a volte con semi di finocchio, altre con il pepe, rappresentano la ricetta base per la preparazioni del tarallo nella versione salata. Le varietà di combinazioni e di miscelazioni, con diversi ingredienti, da aggiungere alla ricetta classica dei tre elementi, fa sì che si possano ottenere diverse gustose ricette.
Il tarallo nel tempo ha modificato la sua tipologia di consumo: da genere di prima necessità a prodotto da consumarsi come accompagnamento agli aperitivi e ai cestini del pane da servire a tavola.
E’ molto diffuso in Italia e all’estero per la qualità dei suoi ingredienti - l’olio extravergine d’oliva, in particolare, che ne è l’ingrediente fondamentale - e perché è piccolo, leggero e gustosissimo.
Oltre che nell’alimentazione, il tarallo trova spazio anche nel linguaggio.
Il modo di dire “è finito tutto a taralluccio e vino”, espressione nata nelle osterie, è stato spesso usato con tono canzonatorio, a significare una composizione un po’ superficiale di una lite, un “vogliamoci bene” di maniera.
Oggi quest’espressione, anch’essa diffusa, come il tarallo, in tutta Italia, sta a significare semplicemente il raggiungimento di un lieto fine.
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